Tuesday 30 August 2011

Cenni sulla risoluzione delle controversie nell’ordinamento saudita
(articolo inserito in Dossier Arabia Saudita - L'impresa verso i mercati internazionali)

  1. Il sistema giudiziario di risoluzione delle controversie ordinarie
  2. I giudici speciali
  3. L'arbitrato
  4. L’esecuzione delle sentenze e dei lodi arbitrali stranieri

1. Il sistema giudiziario di risoluzione delle controversie ordinarie
La normativa disciplinante il sistema giudiziario saudita risale al 1927.
Una serie di successivi decreti hanno modificato l'apparato giudiziario.
Nel 1936 e 1952 sono stati emanati i Regolamenti di Procedura Civile, nel 1955 è stata prevista la costituzione della Commissione per i Ricorsi, nel 1970 è stato costituito il Ministero della Giustizia.
La legge che oggi disciplina il giudizio civile è entrata in vigore nel 2000. Essa non ha una struttura non molto dettagliata (consta in totale di 139 articoli, a differenza delle circa 830 norme contenute nel codice di procedura civile italiano).
Altre fonti normative disciplinanti il processo civile sono le seguenti:
  • Code of law practice,
  • Law of Procedure before Shari'ah Courts,
  • Law of the Judiciary.
In Arabia Saudita, come in Italia, il precedente giudiziario non è vincolante. Ciò significa che, in via generale, ogni giudice decide solo in base alla legge, senza che precedenti decisioni possano vincolare la soluzione di simili, successive controversie.
I giudici sono indipendenti e, ai fini dell'amministrazione della giustizia, sono soggetti solo alle norme della Shari'ah e alle leggi in vigore.
L’ordinamento giudiziario, quindi, come in Italia, è indipendente e soggetto solo alla legge.
In Arabia Saudita, in maniera simile al nostro sistema giudiziario, per i procedimenti ordinari, quelli cioè non riservati dalla legge a giudici speciali, sono previsti tre gradi di giudizio di competenza dei seguenti uffici giudiziari ordinari:
  • i Tribunali Generali che includono: tribunali generali civili e penali, tribunali per gli affari personali, tribunali per gli affari commerciali, e tribunali del lavoro, ciascuno con distinta competenza per materia e territorio;
  • le Corti di Appello, suddivise in diverse divisioni (diritti civili, penali, commerciali, affari personali, lavoro), situate in ogni regione del Paese, competenti a decidere in merito all’impugnazione delle decisioni emesse dai Tribunali di primo grado,
  • la Corte Suprema, con sede in Riyadh, competente a decidere sulle impugnazioni avverso le sentenze pronunciare dalle Corti d’appello.
I processi aventi ad oggetto controversie non devolute dalla legge ad altro giudice speciale, devono essere incardinati innanzi ai Tribunali Generali, uffici giudiziari equivalenti ai Tribunali ordinari di primo grado italiani.
Le parti sono assistite da avvocati.
I processi si basano principalmente su discussioni orali. Sono ammesse prove scritte, testimoniali e ispezioni.
Il giudizio si introduce con ricorso che deve contenere:
  • il nome, il cognome, la professione e il luogo di residenza del ricorrente e, in caso di società, il nome, il cognome e il luogo di residenza del rappresentante;
  • il nome, il cognome, la professione e il luogo di residenza del convenuto e, in caso di società, il nome, il cognome e il luogo di residenza del rappresentante;
  • la data di presentazione del ricorso e il tribunale innanzi al quale viene depositato;
  • l'oggetto della controversia, la domanda del ricorrente e l’indicazione delle prove a sostegno della domanda.
Il ricorso deve essere presentato, a pena di irricevibilità, in lingua araba. Può tuttavia essere presentato in una lingua diversa se accompagnato da una traduzione giurata, certificata da un traduttore autorizzato.
Al momento del deposito del ricorso il cancelliere registra i riferimenti del giudizio e predispone una nota per la notifica del ricorso che, la legge stabilisce, dovrebbe avvenire il giorno successivo al deposito.
Salvo casi eccezionali d’urgenza, il termine tra la data di comparizione e la notifica del ricorso non può essere inferiore a 8 giorni.
Il convenuto deve costituirsi in giudizio almeno tre giorni prima dell’udienza.
Nella pratica, l’udienza indicata nel ricorso viene posticipata, più o meno a lungo, a seconda della tipologia dell’ufficio giudiziario adito, della localizzazione della stessa, dell’importanza della controversia e del carico di lavoro del giudice. Se, ad esempio, il ricorso viene presentato innanzi ad un Tribunale Generale sito in una delle principali città saudite, l’udienza di comparizione delle parti è di norma fissata dai 3 ai 6 mesi di distanza rispetto alla data di deposito della domanda introduttiva del giudizio.
In media la durata di un processo di primo grado innanzi ad un Tribunale Generale varia tra i 3 e i 6 anni.
Le decisioni pronunciate dai Tribunali Generali sono impugnabili innanzi alle Corti di Appello, avverso la cui pronuncia sarà possibile ricorrere al giudizio della Suprema Corte.


2. I giudici speciali
Il sistema giudiziario saudita prevede diversi giudici speciali, ciascuno competente a risolvere controversie in specifiche materie civili.
Tra le corti speciali più importanti, meritano di essere rammentate:
1. Il Board of Grievances (BOG).
Si tratta di una Commissione indipendente giudiziaria amministrativa, posta sotto la diretta responsabilità del re, con sede nella città di Riyadh, la cui competenza, composizione, e le cui funzioni sono previste dalla Law of the Board of Grievances.
Riservate alla competenza degli uffici giudiziari facenti capo alla Commissione sono le controversie aventi ad oggetto:
  • diritti previsti da leggi civili, regolanti il servizio militare e il sistema pensionistico, instaurate da dipendenti pubblici nei confronti di enti pubblici;
  • impugnazioni di decisioni amministrative per motivi quali mancanza di giurisdizione, carenza di potere, violazione o falsa applicazione o interpretazione di leggi e regolamenti, abuso di autorità,
  • richieste di risarcimento danni nei confronti del governo e di imprese pubbliche indipendenti;
  • contratti in cui è parte il governo ovvero imprese pubbliche indipendenti;
  • altre controversie amministrative;
  • impugnazioni di decisioni del Consiglio della Concorrenza in materia di violazioni della legge antitrust;
  • le richieste di esecuzione delle sentenze straniere e dei lodi arbitrali stranieri.
Le controversie devolute alla competenza del Board of Grievances sono soggette, come i procedimenti ordinari, a tre gradi di giudizio, innanzi ai seguenti uffici giudiziari:
  • Administrative Courts (Tribunali amministrativi di primo grado), dislocati sul territorio nazionale;
  • Administrative Courts of Appeal (Corti amministrative di appello);
  • Supreme Administrative Court (Suprema Corte Amministrativa) che ha competenza ad esaminare le sentenze pronunciate dalle Corti di appello per i seguenti motivi:
  1. violazione della legge della Shari'ah islamica, errori di applicazione o di interpretazione della legge e dei regolamenti, ipotesi di pronunce differenti a precedenti giudiziari adottati dalla medesima Corte Suprema,
  2. difetto di competenza del Tribunale che ha pronunciato la sentenza,
  3. errata composizione dell’organo giudicante;
  4. conflitti di giurisdizione tra Tribunali amministrativi.
2. Il Banking Disputes Settlement Committee:
(Comitato per risoluzione delle controversie bancarie) istituito presso la Saudi Arabian Monetary Authority (SAMA, Autorità monetaria saudita), competente a decidere in merito alle controversie vertenti tra banche e risparmiatori.
Le decisioni del Comitato istituito presso la Saudi Arabian Monetary Authority non hanno la medesima efficacia di una sentenza pronunciata da un tribunale ordinario o amministrativo. Il Comitato per risoluzione delle controversie bancarie è, invero, autorizzato a comporre le liti proponendo e ratificando accordi transattivi.
3. La Commission for the Settlement of Negotiable Instruments:
Commissione per la risoluzione delle controversie in materia di titoli di credito, come assegni, cambiali, vaglia cambiari.
4. Gli appositi uffici del Ministry of Insurance:
competenti per la composizione delle liti in materia di contratti di assicurazione.
Avverso le decisioni dei tribunali speciali, diversi dai BOG, può essere presentato appello presso l'Ufficio del Re o del Principe Ereditario, che trasmette l’impugnazione all'ufficio legale del Consiglio dei Ministri.
La decisione adottata da quest'ultimo organo, una volta firmata dal Sovrano, diviene definitiva.


3. L’arbitrato
Il procedimento arbitrale saudita è regolato dalla Law of Arbitration e dal relativo regolamento di attuazione.
Le norme fondamentali disciplinanti la materia sono le seguenti.
La devoluzione ad arbitri può avere ad oggetto tanto una controversia in fieri, a prescindere da un precedente accordo negoziale tra le parti che individui l’arbitrato come strumento di definizione della stessa, quanto una controversia, futura ed eventuale, relativa all’esecuzione di uno specifico contratto nel quale sia stata inserita una apposita clausola compromissoria.
La normativa saudita stabilisce che gli arbitri devono essere persone esperte, di buona condotta e buona reputazione, devono avere piena capacità giuridica, essere di sesso maschile, di origine araba ed in numero sempre dispari.
Gli arbitri sono nominati, in via generale, dalle parti.
Ove una di esse non provveda, la controparte potrà rivolgersi all’autorità giudiziaria che sarebbe stata competente ex lege a decidere in merito alla controversia affinché provveda alla nomina.
Gli organi di governo non possono ricorre all’arbitrato per la soluzione di controversie con terzi senza prima l’approvazione del Presidente del Consiglio dei Ministri saudita.
Le parti indicano una data entro cui gli arbitri sono tenuti a risolvere la controversia. Ove la data non venga specificata, la decisione arbitrale dovrà essere pronunciata entro 90 giorni dall’inizio del giudizio.
Nel caso in cui il termine previsto per la definizione del giudizio non venga rispettato, ciascuna parta sarà libera di rivolgersi al giudice ordinario, il quale potrà giudicare in merito alla controversia ovvero prorogare il termine per la decisione dell’arbitrato, rimettendo il giudizio agli arbitri.
In caso di nomina di un nuovo arbitro durante il giudizio il termine per la decisione è prorogato ex lege di 30 giorni.
In ogni caso, gli arbitri, con la stessa maggioranza prevista per la decisione della controversia, possono, avuto riguardo alla materia del contendere, alla difficoltà, ad eventuali circostanze sopravvenute, prorogare il termine fissato per la decisione.
La pronuncia deve contenere una sintesi delle difese delle parti e dei documenti a prodotti in giudizio a corredo delle stesse, le motivazioni della decisione, la data e le firme degli arbitri.
Ogni decisione pronunciata all’esito di un arbitrato deve essere notificata alle parti e presentata entro 5 giorni dalla data di emissione all’autorità giudiziaria che sarebbe stata competente ex lege per il giudizio.
Il lodo arbitrale è impugnabile nel termine di 15 giorni dalla notifica innanzi all’autorità giudiziaria presso cui è stato depositato.
In difetto la decisione arbitrale diviene definitiva e, su istanza di parte, viene dichiarata esecutiva.
In ipotesi di reclamo il giudice potrà:
  • accoglierlo e decidere nel merito,
  • rigettarlo ed emettere ordine di esecuzione della decisione arbitrale.
La decisione arbitrale esecutiva ha la medesima efficacia di una sentenza.


4. L’esecuzione delle sentenze e dei lodi arbitrali stranieri
In via generale è possibile ottenere il riconoscimento e la clausola di esecutività di sentenze straniere.
L’organo competente a decidere in merito è il Board of Grievances.
I presupposti per ottenere il riconoscimento e l’esecutività di una sentenza straniera sono:
  • la reciprocità di esecuzione delle sentenze saudite nella giurisdizione straniera;
  • il rispetto dei principi della legge della Shari’a così come interpretati ed applicati in Arabia Saudita.
A partire dal 1994, anno in cui l’Arabia Saudita ha ratificato la convenzione di New York concernente il riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze arbitrali, è possibile ottenere l’esecutorietà di tali decisioni.
Rimangono, però, nella pratica diversi problemi.
Il Board of Grievances, competente per la decisione, spesso ritiene un lodo straniero non compatibile con l'ordine pubblico saudita o con i principi della Shari’a.
Inoltre, ai fini del riconoscimento, è necessario che gli arbitri che hanno pronunciato il lodo siano di origine araba e di sesso maschile.

Tuesday 12 January 2010

Il servizio di gestione individuale di portafogli di investimento per conto terzi

1. Fonti normative
L'evoluzione dei mercati mobiliari verso una sempre maggiore internazionalizzazione degli scambi si è inevitabilmente riflessa sul contesto normativo comunitario e nazionale.
L'incremento delle possibilità operative dei mercati e dei servizi offerti dagli intermediari finanziari in una prospettiva transfrontaliera, imponeva un'opera di coordinamento delle singole discipline nazionali dei Paesi membri in materia di intermediazione finanziaria. Tale esigenza rispondeva a diverse istanze.
In primo luogo, si rendeva necessario assicurare ai risparmiatori europei garanzie equivalenti di tutela; in secondo luogo, si doveva evitare che l'“arbitraggio normativo” pregiudicasse l'efficiente competizione di mercato degli intermediari operanti nei diversi Stati membri.
La prima regolamentazione a livello comunitario della materia si ebbe con la direttiva n. 93/22/ CEE del 10 maggio 1993 sui servizi di investimento.
Nella versione del '90 non veniva affrontato il tema delle regole comportamentali degli operatori finanziari che restava di competenza dei singoli Stati membri e sfuggiva, quindi, al processo di armonizzazione. La versione definitiva delle direttiva, tuttavia, conteneva uno specifico articolo - l'art. 11 - dedicato alle regole di condotta, nel quale il legislatore comunitario fissava alcuni principi di carattere generale sulla falsa riga dei principi già elaborati nel 1990 in seno alla In­ternational Organization of securities Commission.
Si trattava, di regole che, pur dovendo essere implementate dagli Stati membri, imponevano all'impresa di investimento: a) di agire, nell'esercizio dell'attività, lealmente ed in modo equo, nell'interesse, per quanto possibile, dei clienti e dell'integrità del mercato; b) di agire con la competenza, l'impegno e la diligenza necessari nell'interesse, per quanto possibile, dei clienti e dell'integrità del mercato; c) di disporre delle risorse e delle procedure necessarie per portare a buon fine le attività espletate, e ad utilizzarle in modo efficace; f) di informarsi sulla situazione finanziaria dei clienti, sulla loro esperienza in materia di investimenti e sui loro obiettivi per quanto concerne i servizi richiesti; e) di trasmettere adeguatamente le informazioni utili nell' ambito dei negoziati con i clienti; j) di sforzarsi di evitare i conflitti di interessi e, qualora ciò non fosse stato possibile, di provvedere a che i clienti fossero trattati in modo equo; g) di conformarsi a tutte le normative applicabili all' esercizio delle sue attività in modo da promuovere per quanto possibile gli interessi dei clienti e l'integrità del mercato.
Era chiara dunque, l'affinità dei principi comunitari con quanto già previsto dal legislatore italiano nella legge n. 1/1991.
Tali aspetti furono tenuti in debita considerazione dal legislatore delegato del '96 che, con il d. 1gs. n. 415 (c.d. decreto Eurosim) nel recepire la direttiva n. 93/22/CEE:, dava luogo ad una accentuata delegificazione in virtù della quale molti profili precedentemente disciplinati dalla legge venivano attribuiti al potere regolamentare (dell’allora) Ministero del tesoro, della Banca d'Italia e della Consob; dava atto, chiaramente, della necessità di calibrare le regole comportamentali a seconda della natura professionale o meno dell'investitore ed infine adeguava la disciplina normativa del conflitto di interessi alla regolamentazione europea.
L'art. 17 del citato decreto formulava così alcuni standard comportamentali che gli operatori finanziari dovevano (e devono, visto che oggi tali principi sono presenti nel TUF ) rispettare nello svolgimento dei servizi di investimento, soffermandosi, in particolare, sugli obblighi generali di correttezza, buona fede e diligenza, sugli obblighi informativi, sui profili attinenti l'organizzazione interna e sulla disciplina del conflitto di interessi[1]. Parallelamente delegava la Consob, sentita la Banca d'Italia, di disciplinare con regolamento: a) le procedure, anche di controllo interno, relative ai servizi prestati e la tenuta delle evidenze degli ordini impartiti e delle operazioni effettuate; b) il comportamento da osservare nei rapporti con la clientela, con particolare riguardo alle misure da adottare per ridurre al minimo il rischio di conflitti di interesse anche attraverso la regolamentazione dei flussi informativi tra i diversi settori dell'organizzazione aziendale; c) gli obblighi informativi nell'attività di negoziazione (art. 25, comma 2 dello stesso decreto).
L'Autorità di Vigilanza emanò il regolamento n. 10943/97 implementando la delega legislativa e disciplinando dettagliatamente i profili menzionati.
Il risultato è stato la creazione di un sistema di tutela del risparmiatore completo, e la successiva emanazione del Testo Unico della Finanza (c.d. TUF), articolato in sezioni relative ai soggetti, agli oggetti, ai controlli, alle strutture dei singoli mercati. Erano queste le finalità della legge 6 febbraio 1996, n. 52 che, nel recepire la direttiva n. 93/22/CEE in materia di servizi di investimento nel settore dei valori mobiliari, conferiva al Governo la delega per riordinare le normative sugli intermediari e sui mercati finanziari, prevedendo la possibilità di intervenire anche in tema di società emittenti, seguendo un'impostazione attenta alle esigenze di tutela del risparmio e degli azionisti di minoranza .
Il decreto Eurosim costituiva il “passaggio” necessario per rispettare gli impegni comunitari nel mentre la Commissione coordinata dalla Direzione Generale del Ministero del tesoro, lavorava per porre in essere il Testo Unico in materia di intermediazione finanziaria, con l’obiettivo di riordinare l'articolato quadro normativo, attraverso un'opera di semplificazione e di delegificazione.
La gestione individuale di portafogli è, dunque oggi, disciplinata dal d. lgs n. 58 (il Testo Unico della Finanza appunto, art. 1 co. 5 lett. d) e art 24) emanato il 24 febbraio 1998 e dalla disciplina regolamentare di attuazione ( Regolamento Consob 1° luglio 1998, n. 11522/98[2] ), il quale, in considerazione dell' ampia delegificazione della materia disposta dalla legge delega ed attuata dal relativo decreto n. 58, occupa un ruolo assai rilevante.

2. Definizione
La norma di apertura del TUF è dedicata, secondo una tecnica ormai diffusa soprattutto nei testi legislativi che recepiscono direttive comunitarie, ad una lunga, anche se non del tutto esaustiva, elencazione di definizioni. Il comma quinto recepisce la nozione, anch’essa di derivazione comunitaria, di servizi di investimento che già con il decreto Eurosim aveva sostituito quella di attività di intermediazione mobiliare prevista dalla l. n. 1/1991[3]. Il testo normativo non fornisce, tuttavia, alcuna formula definitoria delle attività in parola[4]: l’art 24 si limita, infatti, ad indicare quali norme si applicano al servizio senza approfondire la individuazione del suo oggetto[5] ,che deve quindi essere ricavata, oltre che dallo studio delle disposizioni regolamentari delle autorità di vigilanza, dalla disciplina commerciale e dalla prassi di mercato.
Il servizio di gestione su base individuale di portafogli di investimento per conto terzi (dizione che sostituisce quella di “gestione di patrimoni mediante operazioni aventi ad oggetto valori mobiliari”) si può definire come il servizio con cui il cliente delega l’intermediario, dietro corrispettivo, a gestire discrezionalmente e nel rispetto della disciplina normativa, uno specifico patrimonio (che resta distinto sia dal patrimonio dell’intermediario, sia da quello di eventuali altri investitori[6] ) investendolo prevalentemente in strumenti finanziari, con lo scopo specifico di valorizzarlo nel corso del tempo[7]. Si tratta di un servizio che si differenzia dagli altri soprattutto in considerazione del trasferimento formale del potere decisionale dall’investitore all’intermediario (con i limiti che vedremo); la gestione individuale si caratterizza quindi, ma non solo, per la discrezionalità di cui gode l’intermediario nell’esecuzione dell’incarico. La natura discrezionale del servizio gestorio emerge chiaramente dalla disciplina normativa di riferimento e si ritrova anche nel testo della proposta della direttiva relativa ai servizi di investimento e ai mercati regolamentati: l’allegato I indica, infatti, tra i servizi di investimento la “gestione su base discrezionale individualizzata, di portafogli di investimento nell’ambito di un mandato conferito dai clienti, qualora tali portafogli includano uno o più strumenti finanziari”; e proprio nella delega della “ decisione “, anziché della sola “ esecuzione “ viene ravvisato, inoltre, il criterio distintivo tra gestione vera e propria e mera amministrazione[8] .
Oltre alla discrezionalità del gestore, che come si vedrà, viene in parte limitata dalle istruzioni vincolanti date dal cliente, tanto relative agli aspetti generali dell’attività, quanto in relazione alle singole operazioni[9], ulteriori elementi caratterizzanti il servizio in esame sono la presenza di un rapporto individualizzato tra investitore ed intermediario che si concretizza nell’individuazione di una specifica linea di gestione[10]; lo svolgimento dell’attività nell’esclusivo interesse del singolo cliente-investitore[11] e lo scopo specifico della valorizzazione del patrimonio (portafoglio) del cliente[12]. Sul punto è intervenuta anche la Consob, precisando che l’attività di gestione patrimoniale individuale si connota principalmente proprio per la finalità di valorizzazione di un determinato patrimonio, perseguita mediante il compimento di una serie di atti unitariamente volti al conseguimento di un risultato utile dell’attività di investimento e disinvestimento in valori mobiliari[13].
Occorre, inoltre, ricordare la direttiva comunitaria n. 2004/39/CE[14], in tema di servizi di investimento e mercati degli strumenti finanziari, che definisce la gestione individuale come discrezionale e avente ad oggetto portafogli di investimento che includono uno o più strumenti finanziari.
Ai sensi dell’art. 4, paragrafo 1, n. 9) della suddetta direttiva, infatti, la gestione su base individuale di portafogli è definita come “gestione, su base discrezionale ed individualizzata, di portafogli di investimento nell’ambito di un mandato conferito dai clienti, qualora tali portafogli includano uno o più strumenti finanziari”.
Prima di concludere questo breve esame relativo alla nozione del servizio di gestione individuale di portafogli di investimento per conto terzi, e agli elementi che principalmente lo caratterizzano, è necessario fare, quantomeno un accenno ai soggetti che sono autorizzati a svolgerlo e alla sua natura giuridica.
Lo svolgimento del servizio di gestione individuale di portafogli è oggetto di una riserva a favore di particolari soggetti[15]. Con riguardo specifico alla individuazione degli intermediari abilitati allo svolgimento di questo servizio, deve sottolinearsi una maggiore ampiezza di tale ambito soggettivo rispetto a quella che caratterizza i rimanenti servizi di investimento.
Per il servizio in esame infatti, non vale soltanto la regola fissata dall’art. 18, co. 1, TUF, per cui “ l’esercizio professionale nei confronti del pubblico dei servizi di investimento è riservato alle imprese di investimento e alle banche”, ma anche la disposizione aggiuntiva del comma 2°, per cui “le società di gestione del risparmio possono prestare professionalmente nei confronti del pubblico il servizio previsto dall’art 1 co. 5, lett. d) “ . La capacità delle SGR non è, dunque, limitata alla gestione collettiva ma si estende, sia pure come facoltà, alla gestione individuale di portafogli di investimento[16]. Occorre infine tener conto di due ulteriori categorie di soggetti che, seppur in via transitoria, mantengono la capacità di svolgere questo servizio: le società fiduciarie e gli agenti di cambio[17].
Per quanto riguarda, infine, la natura giuridica del rapporto di gestione, in questa sede (si veda il capitolo 2) sarà sufficiente dire che da più di due decenni è in corso una diatriba tra coloro che ritengono necessario ricondurre il rapporto in questione allo schema contrattuale del mandato in considerazione delle affinità strutturali connesse alla cooperazione gestoria, e coloro invece che sostengono la tipicità del contratto di gestione, che pur riprendendo sicuramente alcuni dei tratti propri della disciplina del mandato, non si confonde del tutto con questa. Da ciò l’inadeguatezza del riferimento all’art 1703 c.c. e seguenti, se non per talune norme applicabili al fine di colmare le lacune della disciplina speciale e agevolarne l’interpretazione. La tesi attualmente prevalente in dottrina è in quest’ultimo senso.
2.1. La nozione di portafoglio di investimento
L’indagine relativa alla nozione di portafoglio di investimento è necessaria a circoscrivere e definire con più precisione il servizio di gestione individuale del risparmio, rappresentando l’oggetto materiale di tale attività. Purtroppo né il legislatore comunitario, né il legislatore nazionale ne hanno fornito una definizione; sembra opportuno allora ripercorrere brevemente le tesi sostenute dalla dottrina, partendo dalla nozione di patrimonio utilizzata precedentemente all’entrata in vigore del TUF, per giungere a quella che oggi è ritenuta pacificamente la nozione di portafoglio finanziario.
La legge 1/91 utilizzava più volte con riguardo all’oggetto del contratto di gestione il termine “patrimonio“. Se ne parlava in primo luogo all’art. 1[18], che prevedeva, tra le attività di intermediazione mobiliare, la gestione di patrimoni. L’art. 8 della stessa legge ribadiva poi che “oggetto del contratto stipulato tra cliente ed intermediario è la gestione di un patrimonio”. L’affidamento riguardava un insieme di valori e titoli unitamente considerato che costituiva a tutti gli effetti patrimonio distinto da quello degli altri clienti e sul quale i soli creditori del cliente stesso potevano agire[19]. Ancora, con riferimento all’oggetto materiale della gestione la disciplina regolamentare aveva introdotto il concetto di dimensioni del patrimonio gestito; tale espressione confermava, quanto meno sul piano dell’interpretazione letterale, che oggetto della gestione era un complesso di beni (denaro e/o valori mobiliari) unitamente considerato. Il fatto che la legge ed i regolamenti parlassero di patrimonio individuale, senza dare ulteriori specificazioni confermava che l’oggetto della gestione era considerato come un’entità dinamica, che anche dopo l’affidamento all’intermediario e successivamente ai frequenti mutamenti strutturali che avrebbero potuto riguardarla, conservava comunque l’unitarietà iniziale[20].
Nel d. lgs. n. 415/96 il legislatore non faceva più riferimento ai patrimoni, bensì a “portafogli di investimento” in gestione. La dottrina ritenne che il dato non smentiva le conclusioni raggiunte, in materia di gestioni di patrimoni, sotto la vigenza della legge precedente[21], giacché non parve che la diversità di termini in uso denotasse una diversità sostanziale delle due fattispecie; tra l’altro, l’espressione “patrimonio” compariva comunque diverse volte nel decreto Eurosim. Si ritenne allora che il legislatore, nel d. lgs. 415/96, avesse semplicemente preferito adeguarsi alle scelte terminologiche della direttiva comunitaria[22].
Oggi il legislatore nel Testo Unico della finanza fa esclusivo riferimento ai portafogli di investimento, così come la disciplina regolamentare, “nozione questa meno compromettente rispetto a quella di patrimonio sotto il punto di vista dogmatico, dato che non allude ad una categoria civilistica ma semplicemente alla composizione strutturale di un investimento. Essa disegna, infatti, “meramente un’entità economica, non giuridica, e sopratutto non richiede (per lo meno non necessariamente) indagini relative alla titolarità dei beni in gestione”[23].
Per quanto riguarda il contenuto di tali portafogli finanziari si ritiene che – a differenza di altri servizi di investimento, che possono avere ad oggetto unicamente strumenti finanziari – un portafoglio di investimento possa comprendere anche beni ed attività diversi dagli strumenti finanziari e dal denaro, purché sia composto in maniera prevalente da questi ultimi[24].

3. Il contratto
Il contratto di gestione individuale di portafogli di investimento per conto terzi è disciplinato dagli articoli 23 e 24 del Testo Unico in materia di intermediazione finanziaria e dalle disposizioni contenute nella sezione IV, capo II del libro III del regolamento Consob 11522 / 98 [25].
Le disposizioni contenute nell’art. 23 si riferiscono a tutti i contratti relativi ai servizi di investimento e accessori, stabilendo delle regole generali che possono eventualmente essere derogate dalla disciplina speciale del singolo contratto considerato.
E speciale è la disciplina del contratto di gestione individuale di portafogli finanziari, con motivazioni di immediata evidenza. I poteri che con il contratto si conferiscono all'impresa di intermediazione, e le prestazioni di servizio che se ne ricevono, presentano infatti caratteri assolutamente particolari. Per la natura stessa del rapporto di gestione, come sappiamo, l'investitore consegna all'intermediario denaro (o denaro e valori) domandando una allocazione di risorse e una loro successiva movimentazione che saranno, di volta in volta diverse, ma nella generalità dei casi comunque caratterizzate da una ampia discrezionalità dell'agire dell'impresa “gestore”[26]; cosa che rende necessaria una più rigorosa normativa di garanzia.
Le regole di comportamento specifiche per il contratto relativo alla prestazione del servizio di gestione di portafogli di investimento sono contenute nell’ art. 24 co. 1[27].
In particolare, la lett. a) prevede l’obbligo di forma scritta che, anche se non indicato espressamente, deve ritenersi ad substantiam, argomentando dalla disposizione del secondo comma[28]; l’importanza della forma scritta nel servizio di gestione individuale è testimoniata dalla specifica riproduzione di tale precetto[29], finalizzata a sancirne l’inderogabilità in sede regolamentare anche in caso di contratto concluso con operatori qualificati[30], a differenza dell’esonero consentito dall’art. 23 per gli altri servizi di investimento, per ragioni tecniche o per le natura professionale dei contraenti. Quale che sia l'identità dell'investitore e quale che sia il genere di gestione, il contratto dovrà, quindi, avere sempre forma scritta.
Il contenuto minimo del contratto di gestione, invece, non è fissato dall’art 24, ma dalla normativa secondaria[31]; le indicazioni richieste sono finalizzate a delimitare la discrezionalità dell’intermediario ed a consentire al cliente di essere edotto dei rischi che gravano sulla conservazione del patrimonio gestito[32]( vedi infra )[33].
Alcune delle disposizioni dell’art 24 co. 1 sono rivolte alla disciplina del rapporto di gestione, attraverso la definizione dei diritti e degli obblighi dei contraenti.
In questa prospettiva rientra innanzitutto la regola di cui alla lett. b), secondo la quale il cliente può impartire “ istruzioni vincolanti in ordine alle operazioni da compiere “. Con l’attribuzione della facoltà di dare istruzioni si rende l’investitore consapevole di conservare il potere di disposizione dei propri beni e si contribuisce a delimitare la discrezionalità del gestore. Rientra, inoltre, nel potere di impartire istruzioni ,in positivo, quello di indicare le operazioni che il gestore deve sottoporre al preventivo assenso dell’investitore[34].
Per le istruzioni vincolanti che intervengono nel corso del rapporto di gestione, il contratto deve almeno indicare le modalità attraverso cui esse vanno impartite[35].
A differenza dell’art. 8 lett. e) della l. 1/1991, l’art. 24 co. 1 lett. b), non fa salvo il diritto di recesso del gestore ai sensi dell’ art. 1727 c.c.. Questo non significa che le istruzioni del cliente siano in ogni caso vincolanti, posto che deve tenersi conto del più ampio diritto di recesso attribuito all’intermediario dall’art. 24, co. 1, lett. d) , esercitabile anche in presenza di ordini chiaramente rischiosi, idonei ad integrare gli estremi della giusta causa di recesso (si veda il paragrafo successivo).
Nella stessa prospettiva della tutela dell’interesse del cliente attraverso il regolamento contrattuale, va inserita la regola (sempre dell’art. 24) lettera c), con la quale si vieta alle imprese di investimento, alle società di gestione del risparmio ed alle banche di contrarre obbligazioni per conto del cliente che lo impegnino oltre il patrimonio gestito, salvo specifica istruzione scritta del cliente stesso.
Infine le lettere e) ed f) sono relative alle modalità di prestazione del servizio da parte degli intermediari abilitati. L’art 24, co. 1 lett. e) riguarda l’esercizio del diritto di voto relativo agli strumenti finanziari affidati in gestione. La rappresentanza per il diritto di voto può essere attribuita all’impresa di investimento, alla SGR ed alla banca per una singola assemblea, sulla base di una procura scritta. Ai soggetti indicati dalla norma in esame vanno aggiunti gli agenti di cambio iscritti nel ruolo unico nazionale[36]. I limiti e le modalità della rappresentanza per l’esercizio del diritto di voto sono contenuti in un regolamento emanato dal Ministro dell’economia e della finanza, sentite la Banca d’Italia e la Consob [37]; tra le altre disposizioni, il regolamento prevede che la rappresentanza deve risultare da un modulo predisposto dall’intermediario abilitato ed a costui restituito almeno un giorno prima dell’assemblea regolarmente convocata; l’art 5 del regolamento inoltre, richiamando la disciplina del mandato, ex art 1711, co. 2, c.c., consente all’intermediario di discostarsi dalle indicazioni di voto del cliente in caso di fatti sopravvenuti di particolare rilievo, tali da far ragionevolmente considerare che il socio, se li avesse conosciuti, avrebbe votato in maniera differente; tale facoltà deve essere tuttavia espressamente indicata nel suddetto modulo, non essendo sufficiente la mancanza di una sua espressa esclusione da parte del cliente; è richiesta inoltre l’immediata comunicazione al socio del voto difforme, con le relative motivazioni.
Si ritiene che l’attribuzione del potere di rappresentanza ha portata generale, si estende a tutti gli strumenti finanziari e non solo alle azioni di società.
La lettere f) infine prende in considerazione la possibilità per l’intermediario di delegare l’incarico ricevuto, anche con riferimento all’intero portafoglio, a soggetti autorizzati alla prestazione del servizio di gestione di portafogli di investimento, previa autorizzazione scritta del cliente. In concreto, la possibilità di rilasciare deleghe a soggetti terzi può contribuire alla migliore realizzazione dell’interesse del cliente, dato che può consentire di accedere a competenze specialistiche e di perseguire economie di scala nella prestazione del servizio[38]. Tuttavia è necessario che la delega non determini uno svuotamento di funzioni e soprattutto di responsabilità dell’intermediario delegante[39]. Per queste motivazioni la Consob ha previsto una serie di limiti e condizioni per l’esercizio della delega che in buona sostanza possono essere così riassunti: la delega non implica alcun esonero o limitazione di responsabilità dell’intermediario delegante; deve avere una durata determinata e deve poter essere revocata con effetto immediato da quest’ultimo; la delega deve infine contenere le clausole che, nei casi in cui l’esecuzione delle operazioni non sia subordinata al preventivo assenso del delegante, prevedano che il delegato debba attenersi, nelle scelte degli investimenti, alle indicazioni impartite periodicamente dall’intermediario delegante[40].
Prima di concludere il discorso relativo al contratto del servizio di gestione individuale di portafogli finanziari si deve ricordare che l’art 24 co. 2[41] fissa la regola secondo la quale ogni pattuizione contraria alle previsioni del primo comma è nulla; analogamente a quanto previsto dall’art 23, si tratta di nullità che può essere fatta valere soltanto dal cliente[42].

4. Il diritto di recesso del cliente
Nella disciplina del rapporto di gestione rientra anche la previsione della lett. d), art. 24 relativa al diritto di recesso dal contratto di gestione sia da parte del cliente, che dell’intermediario. Al cliente è attribuito il diritto di recedere dal contratto in ogni momento, anche in mancanza di giusta causa, nonostante si tratti di contratti a tempo determinato. Inoltre, risolvendosi una questione controversa, si stabilisce che al cliente non è addebitata alcuna penalità, onde il carattere gratuito del recesso. In alternativa al recesso viene previsto espressamente il diritto del cliente di trasferire o di ritirare in tutto o in parte le somma o i valori mobiliari di cui è titolare[43].
Ciò discende dalla disciplina introdotta dall’art. 21, 2° comma[44], secondo cui la gestione, così come gli altri servizi di investimento, può essere svolta dall’intermediario anche in nome proprio; pertanto, tale diritto non è più ricollegabile alla preesistente titolarità in capo al risparmiatore del denaro e dei valori conferiti in gestione.
È tuttavia pacifico che il cliente recedente potrà giovarsi a tale fine del regime di separazione patrimoniale previsto nell’art. 23 e valevole anche per l’ipotesi in cui l’intermediario agisca con la spendita del nome proprio.
Il recesso ha efficacia immediata e sospende il compimento di operazioni da parte dell’intermediario sul patrimonio gestito, salvo gli atti necessari alla conservazione del patrimonio gestito e le operazioni non ancora eseguite, già disposte dall’investitore e da costui non revocate[45].
La previsione a favore del cliente del diritto di recedere in qualsivoglia momento e senza necessità di preavviso dal rapporto di gestione risponde ad un’evidente necessità di tutela della posizione dell’investitore: la possibilità di sciogliersi in ogni momento dal contratto e di ottenere la restituzione del proprio patrimonio, rappresenta un diritto di cui egli non può essere privato, anche alla luce di ciò che è stabilito nell’art 24 co. 2 che sanziona con la nullità le pattuizioni in contrasto con quanto richiesto dalla norma primaria.
4.1 Il diritto di recesso dell’intermediario
L'art. 24, comma 1, lett d) TUF stabilisce che il cliente può recedere in ogni momento dal contratto «fermo restando il diritto di recesso dell'impresa di investimento, della società di gestione del risparmio o della banca ai sensi dell'articolo 1727 del codice civile».
Tale previsione, oltre a costituire un indice della stretta parentela tra il contratto di gestione patrimoniale e quello di mandato[46], è di diretto interesse quanto al profilo della responsabilità del gestore, posto che la disposizione codicistica richiamata stabilisce in capo al man­datario e, quindi, al gestore un obbligo di risarcire il danno al mandante in caso di recesso senza giusta causa dal mandato a tempo determinato nonché in caso di mandato a tempo indeterminato, di rinunzia senza aver dato un congruo preavviso. Pure di rilievo è la portata del richiamo alla disposizione contenuta nel secondo comma dell'art. 1727 c.c., secondo cui in ogni caso la rinunzia deve essere fatta in modo e in tempo tali che il mandante possa provvedere altrimenti, salvo il caso d'impedimento grave da parte del mandatario.
A ridurre, peraltro, l'ambito di responsabilità del gestore, vi è la considerazione, svolta in dottrina, per cui dovrebbe comunque ritenersi ampliata l'area del recesso per giusta causa, e questo in virtù del fatto che la norma contenuta nella lett. d) deve ritenersi ricomprendere anche l'ipotesi in cui l'intermediario receda dal rapporto in quanto non intenda aderire ad istruzioni vincolanti da parte del cliente[47].
La dottrina si è domandata se la disciplina del recesso del gestore come apprestata nell'art. 24 TUF possa interfe­rire, laddove il risparmiatore rivesta la qualità di consumatore ai sensi dell'art. 1469-bis co. 2 c.c.[48], con la disciplina dettata (appunto) in materia di clausole vessatorie nei contratti tra professioni­sta e consumatore[49].Ebbene in questo caso, si ritengono applicabili le regole fissate dall’art. 1469, co. 4°, c.c. secondo cui se il contratto ha ad oggetto la prestazione di servizi finanziari a tempo indeterminato il professionista può, in deroga a quanto previsto dal numero 8) del terzo comma dello stesso articolo[50], recedere qualora vi sia un giustificato motivo, senza preavviso, dandone immediata comunicazione al consumatore-investitore.
[1] L'art. 17, comma 1 del decreto Eurosim disponeva che: «nella presta­zione dei servizi previsti dal presente decreto le imprese d'investimento e le banche devono: a) comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, nell'interesse dei clienti e per l'integrità dei mercati; b) acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati; c) organizzarsi in modo tale da ridurre al minimo il rischio di conflitti di interesse e, in situazioni di conflitto, agire in modo da assicurare comunque ai clienti trasparenza ed equo tratta­mento; cl) disporre di risorse e di procedure, anche di controllo interno, idonee ad as­sicurare l'efficiente svolgimento dei servizi; e) svolgere una gestione indipendente, sana e prudente e adottare misure idonee a salvaguardare i diritti dei clienti sugli stru­menti finanziari e sul denaro affidati».
[2] Così come modificata ed integrata dalle deliberazioni Consob 9 dicembre 1998 n. 11745; 1° marzo 2000, n. 12409 ; 20 aprile 2000, n. 12498 ; 18 aprile 2001 n. 13082 ed in fine 6 agosto 2002 n. 13710.
[3] L’art 1, comma 5, TUF, stabilisce che per servizi di investimento si intendono le seguenti attività, quando hanno per oggetto strumenti finanziari: a) negoziazione per conto proprio; b) negoziazione per conto terzi; c) collocamento con o senza preventiva sottoscrizione o acquisto a fermo, ovvero assunzione di garanzia nei confronti dell’emittente; d) gestione su base individuale di portafogli di investimento per conto terzi; e9 ricezione e trasmissione di ordini nonché mediazione.
[4] ANNUNZIATA F., La disciplina del mercato mobiliare, Torino 2004, La disciplina del mercato mobiliare, Milano 2004, p.
[5] Così come il regolamento Consob n. 11522 del ’98, che pur specificando il contenuto del contratto del servizio di gestione individuale di portafogli non né fornisce una definizione diretta, in questo senso FALCONE G. – GRECO G. L. – ROTONDO G., La responsabilità nella prestazione dei servizi di investimento, Milano, 2004, p.
[6] Inoltre non è essenziale,ai fini della configurazione del servizio, che il patrimonio venga materialmente consegnato all’intermediario gestore: il patrimonio può essere infatti depositato presso un soggetto terzo, purché il gestore abbia comunque la possibilità di movimentarlo.
[7] Così SARTORI F., Le regole di condotta degli intermediari finanziari, Milano 2004, p.
[8] In questo senso COSSU M., La gestione di portafogli di investimento tra diritto dei contratti e diritto dei mercati finanziari. 2002 p, 52.
[9] Limitazioni che rappresentano uno degli elementi di distinzione della gestione individuale rispetto a quella collettiva, le norme che la disciplinano infatti, non prevedono la possibilità per il cliente di impartire istruzione vincolanti al gestore.
[10] Teoricamente variabile da investitore a investitore, che tiene conto della situazione finanziaria e degli obiettivi dei diversi clienti, nonché delle loro propensioni al rischio. Nella realtà tuttavia il grado di personalizzazione del servizio risulta spesso alquanto ridotto a causa di un incalzante processo di standardizzazione delle linee gestorie: l’investitore di solito sceglie una linea di gestione predefinita dall’intermediario, viene assimilato agli atri clienti che hanno compiuto la medesima scelta e trattato nello stesso modo. Tuttavia la presenza di una vasta gamma delle gestioni proposte e la possibilità concreta del cliente di intervenire in ogni momento sull’attività dell’intermediario mediante istruzioni specifiche e vincolanti non permettono al fenomeno della standardizzazione dei rapporti tra gestore e cliente di influire sulla natura del servizio prestato. Cfr. SARTORI F., op ult. cit., p.
[11] Altro fondamentale elemento di distinzione tra la gestione su base individuale e la gestione a monte del risparmio: quest’ultima, infatti, si svolge nell’interesse collettivo di una pluralità di investitori e non nell’interesse e per conto del singolo cliente.
[12] L’obiettivo che l’investitore si prefigge è quello di avvalersi dell’esperienza e delle competenze di un soggetto professionale per affidargli un determinato patrimonio da investire con l’obbiettivo,il cui esito non è garantito, di aumentarne il valore.
[13] Comunicazione Consob n. 95010385, del 5 dicembre 1995. Inoltre cfr. SANTANGELO A., La responsabilità dell’intermediario finanziario per la gestione di portafogli mobiliari, p. l’A . rileva che una lettura in termini giuridici della realtà macroeconomica ha portato a fornire una nozione più estensiva del “fenomeno”: nel senso cioè che lo stesso concetto di valorizzazione, in quanto eccessivamente legato all’ idea di incremento di valore, debba piuttosto ricondursi a quello di “bilanciamento tra rendimento ottenibile e rischio assunto, coerentemente alle esigenza finanziarie dell’investitore”.
[14] Il termine per l’attuazione è previsto per il 30 Aprile 2006. Tuttavia a causa delle difficoltà che stanno incontrando gli Stati membri è stata avanzata una proposta di posticipare la suddetta data al fine di garantirne una effettiva ed uniforme attuazione.
[15] Così COSTI R., Il mercato mobiliare, 2000, p 136. L’autore afferma che la qualità dei soggetti abilitati costituisce un presupposto soggettivo del contratto.
[16] L’art 18 TUF co. 5 lett. b) stabilisce inoltre che Il ministro dell’economia e delle finanze, con regolamento adottato sentite la Banca d’Italia e la Consob adotta le norme di attuazione e di integrazione delle riserve di attività previste dallo stesso art 18 nel rispetto delle disposizioni comunitarie.
[17] Lo svolgimento della attività di gestione non è invece previsto, a differenza di altri servizi di investimento, quali la negoziazione per conto terzi, il collocamento e la raccolta ordini, a favore delle Poste Italiane s.p.a., in considerazione dell’art. 2 e dell’art. 12 del d.P.R. n. 144, del 2001 contenente il “regolamento recante norme sui servizi di bancoposta”, che non richiamano tale servizio nell’elenco di quelli consentiti.
[18] Art 1 co. 1, lett. c)
[19] Oggi la disciplina della separazione patrimoniale è contenuta nell’art 22 TUF.
[20] COSSU M., La gestione di portafogli di investimento tra diritto dei contratti e diritto dei mercati finanziari, Milano 2002, P.
[21]E quindi: l’unitarietà e la dinamicità dell’insieme dei beni (valori e/o denaro) costituenti il portafoglio di investimento).
[22] La direttiva 93 / 22 / CEE.
[23] COSSU M., op. ult. cit., p.
[24] Ad esempio valute.
[25] Denominata appunto “ gestione di portafogli “.
[26] BESSONE M., Servizi di investimento e disciplina del contratto. Milano 2002, p.
[27] Art 24: Gestione di portafogli di investimento:
1. Al servizio di gestione di portafogli di investimento si applicano le seguenti regole:a) il contratto è redatto in forma scritta;b) il cliente può impartire istruzioni vincolanti in ordine alle operazioni da compiere;c) l'impresa di investimento, la società di gestione del risparmio o la banca non possono, salvo specifica istruzione scritta, contrarre obbligazioni per conto del cliente che lo impegnino oltre il patrimonio gestito;d) il cliente può recedere in ogni momento dal contratto, fermo restando il diritto di recesso dell'impresa di investimento, della società di gestione del risparmio o della banca ai sensi dell'articolo 1727 del codice civile;e) la rappresentanza per l'esercizio dei diritti di voto inerente agli strumenti finanziari in gestione può essere conferita all'impresa di investimento, alla banca o alla società di gestione del risparmio con procura da rilasciarsi per iscritto e per singola assemblea nel rispetto dei limiti e con le modalità stabiliti con regolamento dal Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, sentite la Banca d'Italia e la Consob;f) l'esecuzione dell'incarico ricevuto può essere delegata, anche con riferimento all'intero portafoglio, a soggetti autorizzati alla prestazione del servizio di gestione di portafogli di investimento previa autorizzazione scritta del cliente.
2. Sono nulli i patti contrari alle disposizioni del presente articolo; la nullità può essere fatta valere solo dal cliente.
[28] Che commina la nullità dei patti contrari alle disposizioni del presente articolo.
[29] Appunto nell’art 24. oltre che nell’art 23.
[30] Art 31, co. 1 regolamento Consob 11522/98.
[31] Art 37 regolamento Consob 11522/98
[32] MIOLA M., Commento all’art 24, in Testo unico della finanza, Commentario diretto da G. F. Campobasso, Torino, 2002. p. 213.
[33] Gli articoli 37 e 38 del reg. Consob 115/22 indicano specificatamente il contenuto del contratto di gestione, indicazioni che possono essere interpretate anche come istruzioni vincolanti generali, impartite dal cliente all’intermediario al momento della stipulazione del contratto e quindi prima dell’inizio dell’attività gestoria; proprio seguendo questa interpretazione ho deciso di approfondire l’argomento nel capitolo successivo dedicato più specificatamente alle istruzioni vincolanti.
[34] RABITTI BEDOGNI C., Commentario al testo unico dell’intermediazione finanziaria, Milano 1998, p.
[35] Art. 30 co. 1 lett. c) Reg. Consob 11522/98.
[36] Ai sensi dell’art 201, co. 7 e 12 TUF.
[37] D. M. tesoro n. 470 del 1998.
[38] Con una evidente riduzione dei costi per il cliente.
[39] ANNUNZIATA F ., La disciplina del mercato mobiliare. (2004).
[40] E’ invece ancora discusso se nei confronti dell’intermediario delegato sia consentita l’azione diretta dell'investitore gestito ai sensi dell’art 1717 co. 3 c.c. , secondo il quale il mandante può agire direttamente contro la persona sostituita dal mandatario. Ammettendo la possibilità di un’azione diretta da parte del cliente dell’intermediario delegante, ferma restante la responsabilità di quest’ ultimo, si rafforzerebbe la tutela dell’investitore in armonia con l’impianto normativo., data la possibilità di agire tanto nei confronti del delegante, quanto del delegato.
[41] Vedi nota 28.
[42] E’ dubbio se la nullità possa estendersi alle disposizioni del regolamento 11522/98, quando la violazione della norma regolamentare non integra una violazione della norma di legge. La formulazione dell’art 24 sembrerebbe escluderlo, in questo senso ANNUNZIATA, op. ult. cit., p.
[43] Così come stabilito dall’art. 37, 1° comma, lett. e), regolamento Consob n. 11522/98 secondo cui il contratto deve specificare che l'investitore può recedere in qualsiasi momento dal contratto ovvero disporre, in tutto o in parte, il trasferimento o il ritiro dei propri valori, senza che a esso sia addebitata alcuna penalità
[44] “Nello svolgimento dei servizi le imprese di investimento, le banche e le società di gestione del risparmio possono, previo consenso scritto, agire in nome proprio e per conto del cliente.”
[45] Art. 37, 1° comma, lett. f) regolamento Consob n. 11522/1998
[46] Pur potendo, peraltro, essere considerata tanto come indice di una riconducibilità del contratto di gestione patrimoniale al tipo del mandato, quanto, invece, di una semplice applicabilità della disciplina di quest'ultimo per ana­logia nelle parti non disciplinate.
[47] Ipotesi che, invece, era espressamente prevista dall'art. 8, comma 1, lett. e) della legge n. 1 del 1991.
[48] “Il consumatore è la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta.” Il professionista, invece, viene definito come la persona fisica o giuridica, pubblica o privata, che, utilizza il contratto nel quadro della sua attività imprenditoriale o professionale.
[49] Articoli 1469 bis e ss.
[50] Che presume come vessatoria, fina a prova contraria, la clausola che consente al professionista di recedere da contratti a tempo indeterminato senza un ragionevole preavviso, tranne nel caso di giusta causa.

Tuesday 5 January 2010

Le istruzioni vincolanti relative agli aspetti generali dell’attività gestoria

L’art 24, comma 1 lett b), TUF, stabilisce che nell’ambito del servizio di gestione su base individuale di portafogli di investimento, “il cliente può impartire istruzioni vincolanti in ordine alle operazioni da compiere”. Tale facoltà rappresenta uno dei caratteri distintivi del servizio stesso[1], permettendo all’investitore da un lato, di intervenire direttamente nell’attività gestoria svolta, e dall’altro di ridimensionare la discrezionalità dell’intermediario. E’ da sottolineare che l’ampia formulazione dell’art. 24 è idonea a ricomprendere non soltanto gli ordini specifici che il cliente intenda di volta in volta impartire, ma più in generale ogni altro aspetto attinente all’attività di gestione e ciò sin dal momento della stipulazione del contratto, indirizzando e delineando così l’operare dell’intermediario.
A questo proposito la Consob (Reg. 11522/98) ha fissato le indicazioni che, unitamente a quelle in genere richieste in ordine alla conoscenza delle caratteristiche del cliente e di realizzazione di flussi informativi prima e durante lo svolgimento del rapporto[2], consentono di stabilire il carattere personalizzato della gestione. Al momento della stipulazione del contratto[3], infatti, il cliente potrà stabilire, ai sensi dell’ art 37 reg. :
a) le caratteristiche della gestione;
b) le operazioni che l'intermediario non può compiere senza la preventiva autorizzazione dell'investitore e nel caso non siano previste restrizioni indicare espressamente tale circostanza;
c) con riguardo agli strumenti finanziari derivati, se detti strumenti possano essere utilizzati per finalità diverse da quella di copertura dei rischi connessi alle posizioni detenute in gestione;
d) se l'intermediario sia autorizzato a delegare a terzi l'esecuzione dell'incarico ricevuto, specificando, nel caso in cui la delega non riguardi l'intero portafoglio, gli strumenti finanziari, i settori o i mercati di investimento con riferimento ai quali l'autorizzazione viene rilasciata e, in ogni caso, gli eventuali limiti e condizioni dell'autorizzazione;
e) se il cliente stesso possa recedere in qualsiasi momento dal contratto ovvero disporre, in tutto o in parte, il trasferimento o il ritiro dei propri valori, senza che a esso sia addebitata alcuna penalità .

1. La linea di gestione ed il profilo di rischio
Nel novero delle istruzioni che il cliente può e deve fornire al momento della stipulazione del contratto, assumono rilevanza primaria quelle che servono ad individuare le caratteristiche della gestione ed il relativo profilo di rischio; l’art 38 Reg. Consob, stabilisce al riguardo che per caratteristiche della gestione si intendono:
1) le categorie di strumenti finanziari nelle quali può essere investito il patrimonio gestito e gli eventuali limiti (ca­tegorie che, secondo il successivo art. 39, vengono a loro volta definite dalla divisa in cui sono espressi gli strumenti; dal mercato in cui sono negoziati; dalla circostanza relativa agli strumenti emessi da OICR dell'essere o meno questi ultimi soggetti alle direttive comunitarie con l'ulteriore specifica­zione, nel primo caso, dell'aver sede o no in paesi OCSE; dal tipo di (eventuale) garanzia pubblica, nel caso di titoli di debito; dalla durata finanziaria[4]);
2) la tipologia delle operazioni che l'intermediario può effettuare sui suddetti strumenti finanziari (tipologie individuate dall'art. 40 in compravendite a termine; vendite allo scoperto; compravendite a premio; operazioni di prestito titoli e di riporto; pronti contro ter­mine);
3) la misura massima della leva finanziaria che l'intermediario può utilizzare ( art. 41 ); la misura massima della leva finanziaria, serve in particolare, nella operazioni su strumenti derivati o in genere nei contratti a termine, ad indicare la misura entro cui è ammissibile l’effettuazione di operazioni di investimento e la conseguente assunzione di rischi di perdite, per un valore superiore a quello del patrimonio affidato in gestione.
La leva finanziaria indica il rapporto tra il controvalore di mercato delle posizioni nette in strumenti finanziari e il controvalore del patrimonio gestito nell’ambito della stessa linea di gestione[5]. Un rapporto superiore all’unità esprime un rischio di perdite nella gestione sempre crescente rispetto all’ammontare del patrimonio gestito, e questo comporta che vengano introdotte ulteriori cautele; vengono previste infatti, avvertenze per il cliente contenute nel documento sui rischi generali degli strumenti finanziari[6] destinato ad informare dei rischi del ricorso ad una leva finanziaria superiore all’unità, che può condurre a perdite eccedenti l’ammontare del patrimonio gestito, tanto più elevate quanto più alta è la misura della leva finanziaria. Inoltre l’art 37 co. 2 reg. prevede che nel contratto debba essere indicato il limite massimo di perdite, oltre le quali l’intermediario è tenuto a riportare la leva ad un valore pari all’unità [7].
Evidentemente l’indicazione della misura massima della leva finanziaria utilizzabile dall’intermediario, e fissata dal proprio cliente, rappresenta il rischio che quest’ultimo può, e vuole, sopportare, a fronte del guadagno sperato, derivante dalla gestione dei propri “beni” da parte dell’intermediario[8].
Il profilo di rischio del cliente è inoltre individuato dall’insieme delle informazioni che l’intermediario è tenuto a chiedere al cliente stesso, relative principalmente alla propria situazione finanziaria[9]. L’eventuale rifiuto dell’investitore di fornire le informazioni richieste deve risultare dal contratto, ovvero da un’apposita dichiarazione sottoscritta dall’investitore stesso. Per altro, nel caso in cui si manifesti tale rifiuto, gli intermediari dovranno operare sulla base di ogni altra informazione disponibile in relazione ai servizi prestati[10].
4) Il parametro oggettivo di riferimento (benchmark) al quale confrontare il rendimento della gestione (art. 42); il parametro oggettivo di riferimento consente di verificare il rendimento della gestione in rapporto alle caratteristiche della gestione stessa e quindi ai rischi che essa presenta. L’art. 42 co. 2°, reg. Int. stabilisce che il benchmark deve essere stabilito facendo riferimento ad indicatori finanziari elaborati da soggetti terzi e di comune utilizzo, per favorire il raffronto tra le gestioni secondo criteri omogenei ed imparziali; ma naturalmente non più di questo. Le comprensibili aspettative di risultati di gestione all'altezza dei parametri di suo riferimento (e se possibile ancor migliori) non sono cosa che giuridicamente possa rilevare. L'intermediario gestore proverà a conseguire risultati di gestione capaci di corrispondere al benchmark o a fare anche meglio; è chiaro tuttavia che andamenti di gestione inferiori, di per sé non configureranno una sua responsabilità ,essendo considerate, le obbligazioni del gestore, per così dire, obbligazioni “ di mezzi” e certo non obbligazioni (né garanzie ) “di risultato”.

2. Le istruzioni vincolanti in ordine alle singole operazioni: la natura del contratto di gestione individuale di portafogli finanziari
Prima di affrontare il tema specifico relativo alle istruzioni vincolanti che il cliente può impartire al proprio intermediario nel corso dell’attività gestoria, sarà utile soffermarsi sulla natura del contratto di gestione di portafogli di investimento su base individuale, per capire se, oltre alle specifiche disposizioni del Testo unico in materia finanziaria e del regolamento Consob 11522/98, per disciplinare questo servizio, sono applicabili anche le disposizioni (o quantomeno alcune di esse) presenti nel codice civile in materia di mandato ( art. 1710 ss. ).
E’ discusso,infatti, se il rapporto di gestione di portafogli sia riconducibile allo schema del mandato, ovvero se si sia in presenza di un contratto tipizzato; e se, in quest’ultimo caso, sia possibile ricorrere comunque alla disciplina civilistica per colmare le eventuali lacune della normativa speciale.
L'assenza di una precisa disciplina di riferimento aveva fatto propendere la dottrina per una ricomprensione in toto nella figura del mandato[11].
La stessa legge n. 1 del 1991 conteneva, seppur inciden­talmente, riferimenti alla figura del mandato, ove si consideri l'art. 8, comma 1, lett. e) che stabiliva che “il cliente può impartire istruzioni vincolanti sulle operazioni da effettuare salvo il diritto di recesso della società ai sensi dell'art. 1727 c.c. “; del resto la stessa dottrina si esprimeva chiaramente nei termini di un mandato di gestione[12] o quantomeno, non mostrava alcuna difficoltà a ricondurre la figura della gestione di patrimoni, mediante “operazioni aventi ad oggetto valori mobiliari”, al contratto di mandato.
D’altra parte si era anche sostenuto che la legge 1/91 avesse introdotto nel nostro ordinamento un nuovo contratto nominato, dettando la relativa disciplina essenziale.
Attualmente il contratto di gestione è considerato, dalla dottrina maggioritaria, un contratto tipico, appartenente alla più ampia categoria dei contratti di investimento e, nella stessa prospettiva, si ritiene ormai che il contratto di gestione costituisca una figura autonoma, essendo comunque possibile colmare le lacune della disciplina dettata dalla normativa in esame con un procedimento fondato sulla analogia legis o iuris.
D'altra parte, anche nel d .1gs . n. 415 del 1996 e nel d .1gs . n. 58 del 1998 oltre alla traccia rappresentata dal perdurante richiamo all'art. 1727, in tema di recesso del mandatario, contenuto nell'art. 24, comma 1, lett. d) vi è un richiamo alla figura del mandato[13], dove si fa espresso riferimento al concetto di gestione, su base discre­zionale e individualizzata, di portafogli di investimento nel­l ’ ambito di un mandato conferito dagli investitori, qualora tali portafogli includano uno o più strumenti contemplati nella sezione B.
Inoltre la Direttiva CE n. 39 del 2004, come già detto, ai sensi dell’art. 4, paragrafo 1, n. 9) definisce la gestione individuale di portafogli come “gestione, su base discrezionale ed individualizzata, di portafogli di investimento nell’ambito di un mandato conferito dai clienti, qualora tali portafogli includano uno o più strumenti finanziari”.
2.1. Le istruzioni in generale: il controllo e le informazioni nella disciplina del mandato[14]
Per ricostruire i tratti fisionomici delle “istruzioni” appare opportuno, sul piano metodologico, muovere dalla esegesi delle disposizioni normative in tema di mandato e, specificatamente, dall’art 1711 c.c. Questo[15] , dopo aver stabilito che il mandatario non può eccedere i limiti fissati nel mandato[16], reca un riferimento indiretto alle istruzioni, laddove riconosce al mandatario la possibilità di discostarsi dalle istruzioni ricevute, qualora circostanze ignote al mandante, e tali che non possano essergli comunicate in tempo, facciano ragionevolmente ritenere che lo stesso mandante avrebbe dato la sua approvazione.
La lettura unitaria delle due proposizioni normative, depone nel senso che l’esercizio del potere del mandante di impartire istruzioni nei confronti del mandatario, costituisce un effetto naturale del rapporto di mandato.
Il programma gestorio che il mandatario è tenuto a realizzare risulta, dunque, non soltanto dalle determinazioni contrattuali, ma anche dalle istruzioni che il mandante può impartire nel corso dell’attività esecutiva. Da qui la caratterizzazione del mandato come attività “eteroregolata“ [17], e l’osservazione che la possibilità di formulare istruzioni, destinata ad integrare il programma gestorio, denota che la valutazione degli interessi da parte del mandante non rimane cristallizzata al momento del conferimento dell’incarico[18]. A questo bisogna aggiungere che il mandante formula e impartisce istruzioni, normalmente dopo aver conosciuto e valutato circostanze esterne al rapporto ( come ad esempio il mutamento delle condizioni di mercato ) e le modalità con le quali il mandatario sta conducendo l’incarico, dunque successivamente ad un’attività di controllo.
Da queste considerazioni risulta evidente la relazione che esiste tra istruzioni e controllo (o più in generale tra istruzioni e conoscenze del mandante ) che deve essere integrata con le previsioni dell’obbligo generico imposto al mandatario di rendere note al mandante le circostanze sopravvenute ( art 1710 ) e di quello specifico di avvisare con immediatezza il mandante medesimo di taluni fatti ( art 1718, co. 3 ). E’ evidente che acquisite tali informazioni quest’ultimo verrà a trovarsi nella condizione di effettuare una nuova valutazione di interessi e di impartire, se necessario, nuove istruzioni. Si rinviene cosi ad una ineliminabile relazione tra: a) obbligo del mandatario di comunicare al mandante le circostanze che riguardano l’esecuzione della prestazione, anche in assenza di una specifica richiesta; b) controllo sulla relativa esecuzione ( cui la conoscenza così acquisita è strumentale ) e c) il più specifico potere di impartire istruzioni.
2.2. Le istruzioni regolate dalla disciplina speciale relativa al servizio di gestione individuale
La materia delle gestioni di portafogli riprende e conferma la delineata immanenza del controllo e delle informazioni, proprie dei rapporti gestori[19], per garantire all’investitore la concreta possibilità di intervenire direttamente nell’attività gestoria, ed eventualmente di modificare la linea di gestione ed il proprio profilo di rischio[20].
Indefettibile è infatti il controllo incentrato sul rendiconto periodico[21], il quale può essere preceduto da diverse forme di ingerenza[22] e controllo da parte dell’investitore tra le quali vanno annoverate sicuramente le istruzioni vincolanti[23].
Durante il rapporto gestorio, quindi, il cliente può decidere di compiere determinati investimenti; darà, allora, le relative istruzioni[24] al proprio intermediario il quale, prima di compiere l’operazione, dovrà, comunque, fornire al cliente indicazioni utili, in suo possesso, in merito alle opportunità ed agli eventuali rischi ricollegati all’operazione stessa[25].
Un obbligo specifico di informazione che grava sull’intermediario è invece, quello previsto dall’art. 29 reg. Consob 11522/98, nel caso in cui il cliente gli impartisca istruzioni non adeguate[26] alla propria situazione finanziaria o contrastanti rispetto alla linea di gestione originariamente fissata. Il terzo comma dell’art. 29 stabilisce infatti che” gli intermediari autorizzati, quando ricevono da un investitore disposizioni relative ad una operazione non adeguata, lo informano di tale circostanza e delle ragioni per cui non è opportuno procedere alla sua esecuzione. Qualora l'investitore intenda comunque dare corso all'operazione, gli intermediari autorizzati la possono eseguire solo sulla base di un ordine impartito per iscritto ovvero, nel caso di ordini telefonici, registrato su nastro magnetico o su altro supporto equivalente, in cui sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute.
Tra le istruzioni vincolanti si fanno rientrare, in genere, anche quelle attraverso le quali l’investitore vincola l’effettuazione di un’operazione dell’intermediario, ad una sua preventiva autorizzazione.
Ci si è chiesti se, nel caso in cui il cliente vincoli ogni operazione del proprio gestore ad una preventiva autorizzazione (cd. gestione con preventivo assenso), si possa ancora parlare di gestione individuale di portafogli finanziari o, piuttosto, se questo tipo di servizio debba ricondursi, semplicemente, alla consulenza in materia di investimenti, data la perdita di discrezionalità dell’intermediario nell’esecuzione dell’incarico[27].
Sul punto bisogna osservare che, anche nelle gestioni con preventivo assenso, è pur sempre il gestore ad individuare le operazioni da eseguire, sulla base di un complesso processo decisionale che parte dall’analisi delle caratteristiche e delle esigenze del cliente, passando per l’analisi di mercato, per poi arrivare alla individuazione delle operazioni da seguire; è solamente in quest’ultima fase che viene richiesto l’intervento del cliente, fermo restando il contributo rilevante del gestore nelle fasi precedenti del rapporto; sembra quindi sostenibile la tesi che ricomprende le gestioni con preventivo assenso nel novero dei servizi di gestione del risparmio su base individuale[28].
In ultimo, e tornando alla disciplina propria delle istruzioni vincolanti, sembra opportuno interrogarsi sulla responsabilità dell’intermediario nell’ipotesi di mancato adeguamento alle disposizioni impartite dal cliente.
A seconda del tipo di interpretazione – estensiva o restrittiva - che viene data alla disposizione contenuta nella lettera b) dell’art. 24 TUF, si riduce o si amplia la possibilità per il gestore di discostarsi dalle indicazioni del cliente e quindi, si estende o si restringe l’area di responsabilità del gestore stesso per mancato adeguamento a tali indicazioni.
Secondo la tesi estensiva, ogni indicazione proveniente dal cliente deve ritenersi una istruzione vincolante[29]; i sostenitori di questa lettura ritengono quindi, che il gestore possa discostarsi dalle istruzioni impartite dal proprio cliente, senza incorrere in responsabilità, solo se quest’ultimo fornisca indicazioni non coerenti con la linea di gestione prestabilita;
secondo la tesi restrittiva invece, l’utilizzazione da parte del legislatore del verbo “potere”[30], depone nel senso che dare istruzioni precise è ipotesi eccezionale[31]; i sostenitori di questa tesi, valorizzando la disposizione contenuta nel co. 1 art. 29 reg.[32], ritengono inevitabile l’adeguamento alle istruzioni soltanto ove il cliente, opportunamente informato dal gestore in merito alle motivazioni della inadeguatezza dell’operazione, disponga comunque di darne corso.
Resta da valutare la responsabilità del gestore che pone in essere operazioni non rientranti nella linea di gestione, in conseguenza di fatti nuovi ed imprevisti senza che vi sia stata la possibilità di acquisire al riguardo istruzioni dal cliente.
Ebbene in questo caso, si ritiene pacificamente applicabile la disciplina civilistica del mandato e più precisamente l’art. 1711, co. 2 c.c.[33]; il gestore dunque dovrebbe agire in autonomia e al meglio nell’interesse del cliente, purché il difetto di informazione in capo al cliente non sia dovuto a colpa dello stesso gestore.
[1] Possibilità che invece è da escludere nella gestione collettiva del risparmio.
[2] Si veda l’art 21 co. 1 lett. a) che, nel fissare i criteri generali di comportamento che gli intermediari devono rispettare nello svolgimento dei servizi, stabilisce che questi devono acquisire dai propri clienti le informazioni necessarie e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati; e l’art 28 regolamento Consob 11522/98 che specifica le suddette informazioni.
[3] O successivamente a seguito di eventuali modifiche.
[4] Inoltre l’art 44 reg. stabilisce che non possono essere inseriti nei portafogli dei singoli investitori strumenti finanziari negoziati in mercati non regolamentati in misura superiore al 25% del controvalore dei patrimoni stessi e le relative operazioni devono essere concluse con intermediari mobiliari a ciò autorizzati e soggetti a vigilanza di stabilità. Il secondo comma dello stesso articolo stabilisce che la percentuale del 25% può essere superata a condizione che l'investitore abbia rilasciato a seguito della proposta dell'intermediario la propria preventiva e specifica autorizzazione scritta all'esecuzione di ogni singola operazione. Nel richiedere l'autorizzazione, gli intermediari autorizzati comunicano all'investitore almeno i seguenti elementi che devono essere riportati in premessa all'autorizzazione: a) lo strumento finanziario oggetto dell'operazione, evidenziando che lo stesso non è negoziato in alcun mercato regolamentato; b) la quantità e il prezzo prevedibilmente applicato all'operazione, nonché il suo prevedibile controvalore complessivo; c) le ragioni per le quali ritengono opportuna o comunque utile per l'investitore l'operazione . In ogni caso, i singoli strumenti finanziari non negoziati non possono superare il 10% del controvalore del patrimonio gestito ed in caso di superamento, i parametri devono essere ristabiliti nel più breve tempo possibile, tenendo conto dell’interesse dell’investitore.
[5] Art 41 regolamento Consob 11522/98.
[6] Allegato n. 3 al reg. Consob 11522/98.
[7] E’ stato opportunamente osservato (Valentino P. Intermediari e sevizi di investimento, 2001, p . 231) che la pattuizione con il cliente di una leva finanziaria superiore all’unità non significa per ciò stesso che l’intermediario possa superare il limite del patrimonio conferito, dovendo tale “autorizzazione” considerarsi puramente “provvisoria” nel senso di avere effetto esclusivamente nel corso della gestione, restando chiaro che al momento della chiusura del rapporto il limite del patrimonio conferito non potrà essere travalicato.
[8] La violazione del limite della leva finanziaria comporterà l’applicazione della disciplina della rappresentanza senza poteri (art 1398 c.c.) per cui il contratto con il terzo non sarà valido, mentre il gestore dovrà risarcire il terzo nei limiti del così detto interesse contrattuale negativo.
[9] Da ricordare sono anche le informazioni riguardanti l’esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari del cliente ed i suoi obiettivi di investimento.
[10] Art 29 co. 2 regolamento Consob 11522/98.
[11] CAPRIGLIONE F., Diritto delle banche degli intermediari finanziari e dei mercati, Bari 2003, p. 178.
[12] FALCONE G. – GRECO G. L. – ROTONDO G., La responsabilità nella prestazione dei servizi di investimento, Milano, 2004, P. 283.
[13] In particolare: nell'allegato sez. A del "decreto Eurosim; e nell'allegato sez. A del TUF.
[14] Ho ritenuto interessante fare un piccolo confronto tra la disciplina del mandato relativa alle istruzioni ed alle informazioni, e quella specifica prevista per il contratto di gestione individuale, disciplina di cui parlerò nel prossimo paragrafo.
[15] Intitolato “ Limiti del mandato “.
[16] Co. 1, parte prima.
[17] SANTAGATA R. Mandato-Obbligazioni del mandatario e del mandante, in comm. al c.c. Scialoja e Branca ,Bologna – Roma 1998, p. 634, il quale ravvisa “ il nucleo essenziale della cooperazione gestoria nell’altrui programmazione vincolante per il mandatario che pertanto, deve eseguirla nel rispetto delle modalità indicate dal mandante “.
[18] Così come per il servizio di gestione individuale.
[19] Come abbiamo visto in precedenza, per una parte della dottrina il rapporto in esame è sì un contratto tipico, ma ricalca alcuni dei tratti propri della disciplina del mandato, utile inoltre per colmare le eventuali lacune, in tal senso ANNUNZIATA F., La disciplina del mercato mobiliare , Torino 2004, p. ; COSSU M., La gestione di portafogli di investimento tra diritto dei contratti e diritto dei mercati finanziari, Milano, 2002, p. 122; SARTORI F., Le regole di condotta degli intermediari finanziari, Milano, 2004, p. 97 ; mentre per altra parte della dottrina il rapporto di gestione è considerato un vero e proprio mandato: BOCHICCHIO F., La sostituzione del mandatario nella gestione dei patrimoni mobiliari, in Diritto ed economia delle assicurazioni, 2000, p. 345; ENRIQUES L., Dalle attività di intermediazione mobiliare ai servizi di investimento, in Rivista delle società, 1998, p. 1013 – 1038.
[20] Di cui abbiamo parlato in precedenza, andando così a limitare la discrezionalità dell’intermediario.
[21] Il rendiconto della gestione deve essere redatto secondo un modello fissato dalla Consob ( allegato n. 5 al regolamento sugli intermediari ) e inviato, con cadenza trimestrale al domicilio del cliente. La Commissione riconosce tuttavia all’intermediario la facoltà di fornire, in aggiunta al rendiconto, ulteriori chiarimenti o indicazioni integrative che possano rendere più chiara, trasparente e completa l’informazione destinata alla propria clientela. Vi è incertezza sulla possibilità di considerare tacitamente approvato il rendiconto, se non vi è contestazione da parte del cliente, in assenza di una disposizione analoga a quella prevista dall’art. 19 TUB in materia di trasparenza delle condizioni contrattuali per l’approvazione degli estratti conto bancari; così osserva COSTI R., Il mercato mobiliare, p. 162.
[22] L’attività di controllo si dispiega nel corso della gestione concretandosi in dichiarazioni di varia natura e forza determinativa, tra le quali devono appunti annoverarsi le istruzioni vincolanti.
[23] Si può rilevare che il rendiconto è l’unico strumento di controllo del cliente nella gestione in forma collettiva del risparmio.
[24] L’art. 30, co. 2, lett. c), reg. Int., stabilisce che il contratto di gestione deve indicare le modalità attraverso cui l’investitore può impartire ordini e istruzioni.
[25] Questo dovere discende, in via generale dai criteri di diligenza, correttezza e trasparenza che gli intermediari devono rispettare nello svolgimento dei servizi di investimento ex art 21 Co. 1 lett. a) TUF. Di particolare interesse è la precisazione della Consob espressa nella comunicazione n. 30396/2000, concernente l’ipotesi che l’investitore abbia opposto il rifiuto di fornire le informazioni sulla propria situazione finanziaria: siffatta circostanza non esime l’intermediario dall’obbligo di valutare l’adeguatezza dell’operazione disposta dal cliente, avvalendosi in questo caso, di tutte le informazioni delle quali è in possesso, in ossequio, ancora una volta ai principi generali di correttezza, diligenza e trasparenza.
[26] Per tipologia, oggetto, frequenza o dimensione; co. 1 dello stesso art. 29 reg.
[27] Discrezionalità che, come visto nel primo capitolo, rappresenta uno degli elementi essenziali del servizio di gestione su base individuale di portafogli di investimento.
[28] ANNUNZIATA F., La disciplina del mercato mobiliare , Torino 2004, p. 81. Della questione si è occupata anche la Corte di Giustizia CE nella causa C-356/00, Testa e Lazzari c/Consob del 17 Febbraio 2002. Secondo la Corte le gestioni con preventivo assenso non rientrano nella nozione comunitaria di gestioni di portafogli di investimento, in quanto l’elemento della discrezionalità è essenziale. Tuttavia, tale conclusione non impedisce ad uno Stato membro di estendere la nozione di gestione anche ad attività non caratterizzate dalla discrezionalità dell’intermediario, come nel presente caso; si tratterà però, di attività non disciplinate dalla Direttiva comunitaria ma soltanto dalla legislazione nazionale.
[29] VALENTINO P., Intermediari e servizi di investimento, 2001, p. 147.
[30] Ovviamente riferito alla facoltà di impartire istruzioni vincolanti.
[31] SANTORO V., Il dovere di informazione e di agire al meglio nell’interesse del cliente nello svolgimento del servizi di investimento, Torino 2000, p. 251.
[32] Già vista in precedenza secondo la quale gli intermediari autorizzati si astengono dall'effettuare con o per conto degli investitori operazioni non adeguate per tipologia, oggetto, frequenza o dimensione.
[33] Si veda il paragrafo 2.2. secondo cui “il mandatario può discostarsi dalle istruzioni ricevute, qualora circostanze ignote al mandante, e tali che non possano essergli comunicate in tempo, facciamo ragionevolmente ritenere che lo stesso mandante avrebbe dato la sua approvazione.
Dott. Riccardo Valente